Van Gogh, dipingere con gli occhi socchiusi

Quando la fragilità diventa rivelazione.

Vincent van Gogh, Autoritratto davanti al cavalletto, 1888.

Nel 1883 Vincent van Gogh scrive al fratello Theo una lettera che rivela un momento cruciale della sua ricerca artistica. In quelle righe, l’artista racconta come una fase di debolezza fisica e nervosa lo abbia condotto a un nuovo modo di guardare e dipingere. Non più l’analisi minuziosa delle forme, ma una visione filtrata, quasi sfocata, che gli permette di cogliere la realtà come macchie di colore in contrasto reciproco.

"Ultimamente mentre dipingevo, ho sentito una certa potenza coloristica che si andava risvegliando in me, più forte e diversa da quella sentita finora... Ora che mi lascio andare un po' e guardo un po' più attraverso le ciglia anziché fissare intensamente le giunture e analizzare la struttura delle cose, sono direttamente portato a vedere le cose più come macchie di colore in contrasto reciproco che altro." (Vincent van Gogh, Lettera a Theo, 1883)

Questa confessione di Van Gogh non è soltanto un momento autobiografico, ma una vera lezione di metodo. Socchiudere gli occhi significa eliminare otticamente i particolari per cogliere l’essenza del soggetto: le masse tonali, i contrasti, i valori tonali che reggono la composizione. È un esercizio che porta il pittore a vedere la realtà non come somma di dettagli, ma come un'armonia o un conflitto di masse tonali e cromatiche. In quel gesto semplice, Van Gogh anticipa la modernità:
la pittura diventa un atto di percezione immediata, vibrazione e verità visiva, dove la semplificazione è la chiave per arrivare all'essenza del soggetto.


Altri articoli dal blog