Quando l’arte smonta le illusioni della realtà.
Un uomo criticò Picasso perché creava arte poco realistica. L’artista gli chiese: «Mi può mostrare dell’arte realistica?» L’uomo gli mostrò la foto della moglie. Picasso osservò: «Quindi sua moglie è alta cinque centimetri, bidimensionale, senza braccia né gambe e senza colori tranne sfumature di grigio?».
Con questa battuta, Picasso metteva in luce un paradosso: ciò che chiamiamo “realismo” è sempre una convenzione. Anche la fotografia, apparentemente fedele, riduce la vita a un frammento piatto e monocromatico. La pittura, invece, può restituire movimento, emozione, complessità.
Il cubismo nasce proprio da questa esigenza: mostrare la realtà non come copia, ma come interpretazione. Les Demoiselles d’Avignon (1906–1907), oggi al MoMA di New York, è la prova più radicale: figure spezzate, volti mascherati, corpi che sfidano la prospettiva tradizionale. Non un “realismo” fotografico, ma una verità più profonda, che rivela tensioni e forze invisibili.
Picasso ci ricorda che l’arte non è mai specchio, ma linguaggio: non ripete la realtà, la reinventa.