Gianfranco De Meo

Come dipingeva Tiziano Vecellio

“Tiziano è stato veramente il piú eccellente di quanti hanno dipinto, poiché i suoi pennelli sempre partorivano espressioni di vita.
Mi diceva Jacopo Palma il Giovane che questo abbozzava i suoi quadri con una tal massa di colori, che servivano per far letto o base alle espressioni, che sopra poi li doveva fabbricare; e ne ho veduti anch’io de’ colpi risoluti con pennellate massiccie di colori, alle volte d’un striscio di terra rossa schietta che gli serviva come mezza tinta: altre volte con una pennellata di biacca, con lo stesso pennello, tinto di rosso, di bruno e di giallo, formava il rilievo d’un chiaro, e con queste massime di dottrina faceva comparire in quattro pennellate la promessa d’una rara figura.

Dopo aver formati questi preziosi fondamenti, rivoglieva i quadri alla muraglia, e li lasciava alle volte qualche mese senza vederli: e quando poi di nuovo vi voleva applicare i pennelli, con rigorosa osservanza li esaminava, come se fossero stati suoi capitali nemici, per vedere se in loro poteva trovar difetto; e scoprendo alcuna cosa che non concordasse al delicato suo intendimento, come chirurgo benefico medicava l’infermo, se faceva di bisogno spolpargli qualche gonfiezza o soprabbondanza di carne, radrizzandogli un braccio, se nella forma l’ossatura non fosse cosí aggiustata, se un piede nella postura avesse preso attitudine disconcia, mettendolo a lungo, senza compatir al suo dolore, e cose simili.

Cosí operando e riformando quelle figure, le riduceva nella piú perfetta simmetria che potesse rappresentare il bello della natura e dell’arte; e dopo fatto questo, ponendo le mani ad altro, fino a che quello fosse asciutto, faceva lo stesso; e di quando in quando poi copriva di carne viva quegli estratti di quintessenza, riducendoli con molte repliche, che solo il respirare loro mancava, né mai fece una figura "alla prima" e soleva dire che chi canta all’improvviso non puó formare verso erudito né ben aggiustato.

Ma il condimento degli ultimi ritocchi era andar di quando in quando unendo con sfregazzi delle dita negli estremi de’ chiari, avicinandosi alle mezze tinte, ed unendo una tinta con l’altra; altre volte con uno striscio delle dita pure poneva un colpo d’oscuro in qualche angolo, per rinforzarlo, oltre qualche striscio di rossetto, quasi gocciola di sangue, che invigoriva alcun sentimento superficiale, e cosí andava a riducendo a perfezione le sue animate figure.

Ed il Palma mi attestava per verità che nei finimenti dipingeva piú con le dita che con i pennelli, come per imitare l’operato del Sommo Creatore, che con le mani impastò la terra che divenne il corpo umano."
(M. Boschini, Le ricche miniere della pittura veneziana, 1674).

Tiziano Vecellio, Pietà (particolare), 1576, Gallerie dell'Accademia, Venezia.