Il colore della neve non è mai il bianco puro. In realtà la neve riflette il colore della luce e dell'ambiente circostante. La luce diretta appare giallo-arancio sui cristalli illuminati, mentre le ombre si tingono di blu e viola intenso.
Questo fenomeno ottico ha affascinato per secoli gli artisti, ma furono gli impressionisti i primi a osservarlo davvero con occhio scientifico. Claude Monet (1840-1926) dedicò intere serie pittoriche allo studio della neve, dipingendo lo stesso soggetto in diverse ore del giorno per catturare ogni minima variazione cromatica della luce.
Nei suoi celebri paesaggi invernali, come "La gazza" (1868-1869) o la serie delle "Cattedrali di Rouen" sotto la neve, Monet abbandonò completamente il bianco puro per descrivere la neve. Osservando attentamente questi capolavori, scopriamo che utilizzava blu cobalto, violetto e azzurro per le zone in ombra, mentre per le parti illuminate impiegava gialli, rosa e arancioni delicati.
La ragione di questo fenomeno è duplice: da un lato la neve, composta da milioni di minuscoli cristalli di ghiaccio, funziona come uno specchio che riflette tutto ciò che la circonda. Dall'altro, il nostro cervello tende a percepire nelle ombre il colore complementare della luce dominante. Quando la luce è calda (giallo-arancio), l'occhio "vede" le ombre fredde (blu-viola), anche se in realtà sarebbero semplicemente grigie. Monet intuì che dipingere ciò che l'occhio percepisce è più realistico che dipingere ciò che sappiamo essere vero.
Comprendere questo principio è fondamentale per chiunque voglia dipingere paesaggi realistici. L'errore più comune dei pittori alle prime armi è proprio quello di usare il bianco puro per la neve: il risultato appare piatto, innaturale, privo di quella luminosità vibrante che invece caratterizza un paesaggio innevato reale.
"La luce è tutto. Essa modifica le forme, cambia i colori, crea lo spazio".
Claude Monet